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Papa dentro, Tedesco fuori e Silvio è solo. Una lunga estate calda

Creato il 21 luglio 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Papa dentro, Tedesco fuori e Silvio è solo. Una lunga estate calda Per la serie “canto sempre la stessa canzone perché altre non ne so”, ieri mattina Silvio si è svegliato e ha trovato per l’ennesima volta ai piedi del letto di Putin la magistratura. Il suo primo pensiero è stato: “C'è un accanimento giudiziario per intaccare la mia immagine”. Poi, avendo provato una leggera, giovanile erezione post risveglio ha detto a Paolino “Pa” Bonaiuti arrivato col caffè: “Il processo Ruby è una ignominia, un tentativo di intaccare la mia immagine con la storiella fantastica del bunga-bunga. Mi vogliono sputtanare a livello mondiale, avete visto cosa scrivono i giornali stranieri no”? Dopo il caffè, ancora in preda ad una parossistica agitazione nervosa, ha pensato all’ultimo (in ordine di tempo) rinvio a giudizio per abuso d’ufficio nei confronti di Michele Santoro e alla telefonata con Giancarlo Innocenzi che, quasi autoassolvendosi, ha definito: “Solo uno sfogo comprensibile fatto al telefono con un amico”. Che per lui sarebbe stata una giornata difficile lo aveva capito nelle ore precedenti il voto della Camera sulla richiesta di arresto di Alfonso Papa, quando aveva provato a chiamare al telefono Umberto Bossi e una voce metallica dall’altra parte gli aveva risposto: “L’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile”. Si era in parte tranquillizzato pensando che, in fondo, gli restava sempre Pierfy Casini che avendo votato contro l’arresto di Totò Cuffaro, accusato di fatti ben più pesanti di quelli di Papa, gli avrebbe dato una mano. Silvio, però, non era tranquillo. Avvertiva intorno a se l’aria pesante che prelude alle disfatte, quella cappa di tremebonda esistenzialità che causa attacchi non controllabili di ansia destinata a trasformarsi in un amen, in angoscia. Personalmente aveva sentito al telefono tutti i deputati del Pdl ordinandogli di essere presenti in aula per evitare spiacevoli colpi di mano delle opposizioni comuniste. Aveva perfino fatto la comunione, amorevolmente assistito da monsignor Fisichella e perdonato nell’intimo Patty D’Addario. Insomma, Silvio si era quasi convinto che i deputati non avrebbero mai concesso l’autorizzazione all’arresto di Papa, perché il privilegio dell’impunità è troppo grande per poter essere minato con un voto segreto. Ma Berlusconi non aveva fatto i conti né con il Casini amico di Cuffaro né con Roberto Maroni ansioso di prendersi una rivincita dopo lo smacco subito con la conferma di Reguzzoni a capogruppo della Lega alla Camera. All’interno dei Lumbard si è giunti al redde rationem. Bossi ha tirato troppo la corda nei confronti del ministro dell’Interno, lo ha sbeffeggiato pubblicamente e questo Bobo “Blues” non lo ha affatto digerito. Ha ordinato ai suoi di votare contro Papa e loro hanno obbedito. La stessa cosa sembra che si stia preparando a fare a settembre, quando la Camera dovrà esprimersi sulla richiesta d’arresto di Marco Milanese. Se Maroni dovesse decidere di comportarsi come con Papa, l’arresto di Milanese significherebbe arrivare immediatamente alle dimissioni di Giulio Tremonti e di conseguenza dell’intero governo. Silvio lo sa, Bossi lo sa e lo sa benissimo Giulio Tremonti. L’unico a non aver ancora capito una mazza è Gasparri, al quale Gnazio sta cercando di far comprendere che la partita è finita e che quindi è inutile che lui continui a scaldarsi per entrare in campo. Mentre al Senato l’ex pidino Tedesco invitava, inascoltato, i colleghi a votare a favore del suo arresto, alla Camera Alfonso Papa aveva iniziato a recitare la sua sceneggiata migliore, arrivando a toccare le vette inarrivabili di Mario Merola quando ha parlato dei figli ai quali ha cercato di spiegare perché si sarebbe momentaneamente assentato. Incredulo, sbigottito, perso come il vecchio nella nebbia dell’Amarcord di Fellini, Papa subito dopo l’esito del voto che lo condannava al soggiorno a Poggioreale, ha abbandonato il suo scranno parlamentare per andare a costituirsi, abbracciato e slinguazzato da Renato Farina detto "er Betulla" ancora in veste di spione dei servizi segreti. Silvio, da parte sua, ha tirato un pugno violentissimo sul banco del governo, giunto le mani in segno di preghiera e rivolto lo sguardo in alto per ordinare al suo subalterno Creatore del cielo e della terra di compiere immediatamente un miracolo. Stefania Prestigiacomo, che era a un passo da lui, lo ha visto prendere il telefono e tentare il collegamento diretto con il Padreterno: “Eden. Siamo spiacenti ma l’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile”.

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